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Criptpvalute e dichiarazione dei redditi: cosa dice la Corte di Giustizia UE

La Corte di Giustizia UE si è pronunciata in materia di criptovalute e dichiarazione dei redditi. Una delle bestie nere di chi maneggia criptovalute in Italia è, infatti, il busillis dell’applicazione degli obblighi di dichiarazione della detenzione di criptovalute nel quadro RW della dichiarazione dei redditi; ossia, l’osservanza dei cosiddetti obblighi di monitoraggio.

L’assenza di normativa specifica e una serie di alterne interpretazioni, rendono la vita difficile ed espongono chi detiene oggi e chi ha detenuto criptovalute in passato al rischio di sanzioni.

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Corte di Giustizia UE: Leggi spagnole vs obblighi italiani

La Corte di Giustizia UE, tuttavia, con una recentissima sentenza (24.1.2022 in C-788/2019) si è pronunziata sulla legge spagnola che in materia di monitoraggio fiscale, impone obblighi molto simili a quelli italiani, di dichiarazione di conti esteri, ed attività finanziarie detenute all’estero, ed ha stabilito che tale normativa, è contraria ai principi di libera circolazione di beni e dei capitali delle persone nel territorio dell’Unione Europea.

I principi di questa sentenza potrebbero mettere a dura prova le disposizioni italiane sugli obblighi di dichiarazione nel quadro RW, infatti il Modello 720 spagnolo, è parente stretto del Quadro RW italiano. La Corte UE, tuttavia, pone alla base della sua decisione anche altre osservazioni: la prima è che sostanzialmente la legge spagnola prevede un meccanismo che di fatto impedisce lo spirare della prescrizione sulle eventuali violazioni.

La seconda è che le sanzioni previste dall’ordinamento spagnolo (il 150% dell’imposta evasa, ed eventualmente una serie di importi forfetari aggiuntivi) risultano in contrasto con il principio di proporzionalità. La Corte, quindi, conclude che la legge spagnola si pone in violazione dell’articolo 63 TFUE e dell’articolo 40 dell’accordo sullo Spazio economico europeo.

Secondo la Corte di Giustizia UE, infatti, per come viene strutturato l’insieme di obblighi di dichiarazione nel Modello 720 e delle sanzioni da irrogare in caso di inosservanza di tali obblighi, si viene a creare una disparità di trattamento tra i residenti in Spagna a seconda del luogo in cui si trovino i loro beni e rapporti finanziari.

Quello che cambia tra i due ordinamenti sono certamente i regimi di prescrizione e decadenza: in Italia esageratamente ampi, ma non infiniti come, al contrario, si contestano essere quelli previsti nell’ordinamento spagnolo.

Differenze sulle sanzioni

Minori, invece, le differenze sul fronte delle sanzioni.  È vero che ce ne sono alcune significative tra i meccanismi vigenti nei due paesi. Nonostante ciò, tuttavia, alla fine della fiera, gli importi restano elevati anche nel sistema italiano.

Qui, in particolare, sebbene le percentuali siano nominalmente più basse, la determinazione della sanzione non assume come base di calcolo l’entità dell’imposta evasa (come avviene in Spagna), ma all’entità degli investimenti detenuti all’estero, “al lordo”. Ora, se venisse sollevata la questione avanti la stessa Corte, non è affatto detto che le disposizioni italiane riescano a superare la prova di resistenza al principio di proporzionalità imposto dall’ordinamento europeo. 

Il Giudice nazionale infatti, almeno sulla carta, se ravvisa l’esistenza di un contrasto irrimediabile tra la norma di diritto interno e i principi europei, ha il potere di disapplicare la norma di diritto interno. Non a caso, il giudizio contro la Spagna è stato innescato dall’iniziativa della Commissione UE che ha presentato un ricorso diretto alla Corte.

Inoltre, giova ricordare che la Commissione in passato si era già occupata della normativa sul monitoraggio italiana e aveva anche avviato una serie di procedure di infrazione a carico dell’Italia. La recente decisione della Corte, tuttavia, suggerisce che si dovrebbe tornare a riflettere sulla conformità ai principi europei quadro normativo vigente oggi in Italia.

Corte Giustizia UE: Nuove norme per gli exchange in Italia

Detto questo, la caccia all’identità di chiunque detenga criptovalute, proseguirà anche con altre modalità e su altri piani: proprio nei giorni scorsi è stato firmato dal ministro Daniele Franco, il tanto atteso Decreto ministeriale sugli exchange di valute virtuale che impone agli operatori l’obbligo di comunicare all’OAM e quindi al MEF una quantità di dati relativi alle operazioni svolte.

Questo vuol dire, che grazie alle disposizioni contenute in questo decreto ministeriale i dati identificativi dei clienti e la natura delle operazioni effettuate sugli exchange registrati in Italia verranno sistematicamente trasferiti al MEF e che agli stessi dati GdF e forze dell’ordine avranno sostanzialmente libero accesso.

Considerazioni finali

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Sull'autore

Anna Fazio

Laureata all'Università di Milano in Economia e Commercio, mi occupo principalmente di articoli sulle criptovalute.

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